11/01/19

Il giardino


Nel periodo in cui in Italia  vennero promulgate le leggi razziali la nobile famiglia Finzi Contini teneva il loro meraviglioso giardino, circondato da alte mura nel cuore della città di Ferrara, a disposizione di giovani di ogni popolo e di ogni estrazione sociale. Il giardino risultava pertanto un luogo fuori dalla storia dove ognuno sembrava rifiutare e comunque cancellare tutto ciò che avveniva intorno. Ma la cruda e terribile realtà dei campi di sterminio pose fine tragicamente all'illusione del giardino e dei suoi abitanti, compresa la bella ed inquieta Micol, che qualche volta aveva tentato ma inutilmente di affrancarsi dalla artefatta realtà di quelle mura.
E' tuttavia rimasto un piccolo angolo nascosto di quel giardino, dove le siepi allontanano i rumori e gli alberi fanno ombra e dove per raccontare e condividere emozioni si usano solo le parole. In questo angolo su una panca in cemento a ferro di cavallo, siedono dei giovano in tenuta casual, con le camicie sbottonate e le scarpe da tennis. Tutti hanno in mano un lapis numero tre, perché scriva ben leggibile ma si possa cancellare lasciando un alone grigio sulla carta. Come i loro pensieri che entrano ben definiti e poi si sfumano sopra gli aloni dei pensieri precedenti formando nuovi aloni più scuri. Così di continuo seguendo i versi di una poesia iniziata quando ancora non era possibile scriverla. Una poesia di sguardi, di odori, di calori, di movimenti ondulatori, di strane fonie. Ogni tanto un ragazzo si alza, fa pochi passi, si abbassa davanti a una ragazza e la bacia. Allora la ragazza si alza a sua volta, fa pochi passi, si abbassa davanti a un ragazzo e lo bacia. Così continuamente, senza interruzione neppure di notte. Gli altri nel frattempo scrivono qualcosa con il loro lapis numero tre e ogni volta che una ragazza viene baciata ognuno di loro passa il foglio a chi è dopo di lui e prende un foglio da chi è prima di lui. Ma quando una ragazza emette un sospiro lungo tutti cancellano lasciando solo gli aloni sul foglio. Ogni giorno i ragazzi cambiano, non sono quelli del giorno prima, ma alcune volte non viene nessuno e la grande panca circolare di cemento rimane vuota. Ciò vuol dire che i ragazzi sono in un altro posto dove non devono scrivere e non devono baciarsi, ma devono esprimere le loro ragioni, i loro diritti, la loro legittimità sociale.
Sono in tante parti del mondo, nelle strade, nelle piazze, nelle scuole , nelle istituzioni, nelle loro stesse case dove tra urla, sirene, rumori assordanti, devastazioni, violenze, sangue, sopraffazioni, ingiustizie, omertà, paura, pare che la poesia non esista. Perciò i ragazzi del giardino sono lì, per testimoniare la poesia nel cuore delle drammaticità sociali dove pulsa maggiormente l'umanità che della poesia è l'essenza.  Perché la poesia è semplicemente la vita in tutti i suoi momenti, da quelli più scontati e lineari a quelli di simbiosi particolari, di scambi affettivi, di illusioni di rapporti, di coniugazioni di aspettative, di sconosciute pulsioni sessuali, di consapevolezza del dubbio, di liberazione della fantasia, di spiegazione delle ambiguità, di assimilazione di ossessioni, di affrancamento di sé stessi, di orgasmi di amore e di dolore. La vita tradotta in parole, le parole  tradotte nella fantasia di esistere nell’infinito gioco delle contraddizioni. E tutto il resto opportunismo, convenienza, illusione, megalomania del niente.

(Stefano Zangheri su “La Recherche”, 2011)