Dopo la lunga cavalcata in compagnia di Stefano Zangheri, analizziamo ora un’altra magnifica poesia, breve, incisiva ed emozionante, voce innocente che non può non associare per qualche eco e risonanza contenutistica l’altrettanto splendida composizione di Jacques Prévert Les feuilles mortes, Le foglie morte:
"voce innocente/ sono solo le foglie/ che cadono/ i ricordi restano/ tronchi di solitudine/ in alto/ non in terra/ dove le nubi/ volano lente/ ed hanno luoghi/ da esplorare/ nell’aria gialla/ delle foglie morte"
Nella citata poesia di Jacques Prévert le foglie morte cadono al suolo e si raccolgono assieme ai ricordi e ai rimpianti pure caduti al suolo, perché il freddo vento del Nord porti gli stessi nella solitudine dell’oblio, appunto quasi in un’Isola di Bouvet, e allora il poeta vorrebbe che la donna amata si ricordasse, come lui, delle ore felici quando essi erano amici e la vita era per questo più bella. Un’Isola di Bouvet che è l’approdo della vita in Prévert, non l’esperienza vissuta dopo la quale cessa l’azione attiva e si può accogliere in sé l’inno zangheriano alla vita intesa nelle forme più fini. Per il poeta Zangheri, nella sua potente immagine poetica, solo le foglie cadono al suolo, solo le esperienze vissute svaniscono, hanno una fine e non tornano più, i ricordi delle stesse restano seppure in solitudine e restano non a terra come le foglie cadute, ma in alto, nelle sfere nobili per così dire del sentire. Là cessa la furia della vita nella quale gli eventi si susseguono veloci e si cancellano altrettanto velocemente, là regnano la calma, la lentezza della contemplazione utili all’elaborazione del vissuto in ricordo, nella fattispecie nel ricordo poetico perché è la poesia che dà memoria alla vita dell’uomo. E i ricordi vivono come voci innocenti, come materia non corruttibile, pura e innocente in quanto privata delle scorie intrinseche all’esperienza concreta, non sono morti, ma solo si nutrono comunque dell’humus prodotto dalla morte delle foglie gialle cadute, delle esperienze che non sono più, sono solitari, ma hanno le loro radici nella terra in quanto tronchi. In altri termini: una poesia che esplora non la vita materiale, ma luoghi che stanno nell’aria gialla della morte di ciò che ha avuto vita per dare ad essa memoria, ossia si nutre delle esperienze vissute e ormai morte, ciò in assonanza lontana, ma percettibile, alla prigione estetica in cui sì è prigionieri, ma dopo il lungo viaggio nell’esperienza esistenziale.
Rita Mascialino