Perché
un uomo che si reputa intelligente deve ogni tanto perdere questa sua sicurezza
scrivendo strane parole solo in una parte del rigo? Perché sente la necessità
di non terminarlo? Ci sarà pure una ragione in questo cercare di insinuarsi in
una prospettiva che annulla tutte le immagini che gli sono familiari.  Familiari sicuramente.  Ma care? E’ forse in un assurdo dialogo che si
perde la lontananza di una aspettativa del diverso, si muovono quelle piccole
speranze che giorno dopo giorno assomigliano più a una fede che a una realtà
cercata nel tempo. Quale è il momento in cui si perde la cognizione di essere
esattamente uguale a sé stessi, di non avere possibilità di essere diversi, di
non poter rinunciare al senso di una strana voglia di perfezione? Nessun
momento è solo senso di tempo astrattamente impalpabile e la mente che parte ha
in tutto questo? E’ forse il sinonimo di qualcosa di più esatto, di più
gratificante, di inaspettatamente degno di fiducia?  Ciò che sconfina dal perimetro delle
aspettative della nostra esistenza trova forse respiro solo in un esistenza
uguale e contraria, che a volte vagando nell’incertezza di una prospettiva che
appare indecifrabile, ci aiuta a leggere correttamente il nostro destino? O a
crearlo?
 
