Procida è ancora l'isola di Arturo, anche se Arturo non c'è più. Arturo, adolescenza dell'abbandono, dell'attesa, del ritorno.  A Procida ho capito quanto Elsa Morante abbia amato il suo Arturo, ombra sulla scogliera, luccichio nel tramonto, desiderio nella notte. Arturo che amava l'abbandono perché così poteva attendere un ritorno viscerale come la sua isola. Sugli scogli della visione di un tratto di fatalità si incrociano i destini, si distendono le sinfonie più segrete. Ho amato Arturo e ho amato Elsa e ho desiderato più volte di terminare dove loro hanno cominciato. In quelle cale nascoste dove l'ormeggio è vita da scontare e si sentono suoni di piccoli sussurri che incrociano i gabbiani e fanno scorta. Sono stato a lungo a scrutare l'orizzonte quando la bruma si dissolveva e lasciava spazi di infinita meraviglia. Di la oltre il mare niente era monotono come le sere di attesa della prima volta, del venire e correre senza direzione. Io sono stato l'isola, io sono stato Arturo.  Ma infine Arturo se ne va e se ne va anche Elsa. Rimane l'isola la cui bellezza non è riuscita a soddisfare la voglia di vivere ne di Arturo ne di Elsa. E neppure la mia voglia di  incastonarmi in una sua roccia. Almeno fino ad ora.
 

