Provo una sensazione di impotenza in un mondo che mi diviene sempre più estraneo nella sua evoluzione. Mi chiedo spesso da che parte andrà, quale sarà la meta prossima, se potrà raggiungerla e quanto occorrerà per raggiungerla. E principalmente se dove è indirizzato sarà in sintonia con i principi cosmici su cui la natura delle cose fonda la propria esistenza. Se arriverà finalmente la razza umana a comprendere, a rendersi conto che le sue aspettative di esistenza dipendono esclusivamente dai limiti di sopportazione che la natura che lo circonda ritiene insuperabili per la conservazione del suo nucleo vitale e rigenerativo. Non di più, perché l’ordine determinato da una esistenza per noi infinita insito nella sua essenza non può essere modificato dall’insipienza politica di una razza solo marginalmente e provvisoriamente esistente. Natura che, come espressione visibile di tale ordine, da continuamente segni premonitori che andrebbero visti, perché il futuro è solo di chi riesce a vedere il futuro. Altrimenti è solo un lento ma sicuro avvicinamento ad una inevitabile dissolvenza antropologica, perché la Terra continuerà comunque a vivere finché le ragioni dell’Universo, e non quelle degli uomini, saranno soddisfatte. Questo naturalmente in rapporto all’universo nella sua intera espansione che non è mai definitiva ma un divenire che è continuo cambiamento. Universo quindi che ha esso stesso il senso del futuro anche se in una particolare dimensione che è anche conservazione di se stesso.
Ed ho naturalmente sicuro il senso che questo non vale per me, in quanto il concetto del domani è ormai stretto nella mia possibile espansione di tempo. Mi appartiene solo il concetto di un oggi dilatato quanto si vuole ma ormai impossibilitato a passare all’espansione in un tempo successivo. Ma il tempo futuro vale sicuramente per i giovani per cui il senso del domani è compreso nell’oggi e la loro vita è commisurata a questo senso di superamento del presente. E’ sempre tutto nella mente ma per loro il termine è sogno mentre per me il termine esatto è ricordo. Forse anche del sogno ma solo quando penso indietro, ad esempio proprio alla mia giovinezza. Ci penso e la metto istintivamente in paragone a una giovinezza attuale scoprendo molti punti in comune ma anche differenze abissali. Differenze che spesso impauriscono, che lasciano un senso di diffidenza per il sogno che delinea un tempo non ancora vissuto ma già angosciosamente reale. Il sogno nella mia giovinezza aveva possibilità difficili da realizzarsi ma indubbiamente possibili. E questa possibilità eccitava la mente alla ricerca di valori che aiutassero la volontà nello sforzo di realizzare quel sogno. Come la voglia di sentirsi stranamente equilibrato in una confusione mentale che pure era ordine di qualcosa che superava le ipotesi di strane, assurde determinazioni. Ad esempio pensavo che c’erano azioni che si potevano anche chiamare giuste, ma non erano sufficienti a creare la giustizia, come c’erano le parole ti amo che non erano sufficienti a creare l’amore. Similmente ad oggi erano solo istinti mentali, elucubrazioni nella notte, sogno venuto a un’ora insolita. Però allora c’erano anche certi libri e la voglia di leggerli migrando dalle parole alla fantasia per viverli. Quei libri ci sono ancora ma manca la voglia di leggerli e tantomeno di viverli. Era forse questo il valore fondamentale, ciò che faceva apparire il resto secondario e esigeva una obbedienza a qualcosa di indistinto che non aveva alcuna caratteristica di sottomissione. Era rendermi conto che io stesso mi creavo le immagini da esportare verso un domani che esisteva sempre, che non dava mai paura, che ero sicuro avrei trovato tutte le mattine appena sveglio per la semplice ragione che dormiva con me ogni notte. Adesso mi chiedo come esiste il domani per un ragazzo della mia età di allora. Mi chiedo cosa vede nella sua fantasia, quali immagini si formano e come le vive. La possibilità tecnica di avere immagini dirette in tempo reale da ogni parte del mondo limita, in modo sempre più assoluto, la facoltà di immaginarle, di crearle nel proprio intimo, di dar loro una dimensione che configura le notizie con la propria immaginazione, dando loro la caratteristica di una proprietà personale. Come la conoscenza giovanile del sesso attraverso il rendersi conto della sua esistenza ma prima di scoprirne la vera immagine, dargli la forma, il sapore, il colore nella dimensione della fantasia. Dimensione personale che da alla successiva effettiva conoscenza dell’eccitazione sessuale una dimensione reale a un altro corpo non di esteriorità ma di contemporanea esistenza fuori e dentro noi stessi. Abituandoci a tale dimensione nei rapporti umani che per innato spirito di antimasochismo, salvo eccezioni patologiche, impedirà di fare violenza anche ad ogni altro corpo apparentemente esterno al nostro, come ci impedirà di farla comunque verso ogni cosa animata o inanimata che entri nel nostro bagaglio di conoscenza attraverso la nostra fantasia. Eliminando quindi da dentro gli aspetti violenti e aggressivi della natura umana, come unica possibile difesa sociale attraverso la difesa personale di ognuno di noi. Mi chiedo quindi se un giovane di oggi ha la fantasia di creare immagini e quindi i suoi anticorpi naturali o se ha solo la possibilità di esportarle dal mondo intorno che fabbrica vorticosamente identiche immagini per lui e per tutti gli altri giovani come lui. Crea immagini che dona di continuo, che entrano nella mente senza sforzo creativo, senza necessità di partecipazione, senza interruzioni, senza il principio attivo per la loro efficacia sociale. Facile coglierle al volo, riconoscersi in esse senza i dubbi di chi le fabbrica da solo. Con assoluta fiducia perché sono esportate, sono state fatte, sono un prodotto realizzato da chi è specializzato nel creare tali prodotti. Sono quindi degne di fiducia, come un qualsiasi prodotto pubblicizzato che non è buono per sé ma per il carisma ben pagato di chi lo presenta. Sono inoltre state già testate su milioni di ragazzi e milioni di ragazzi le hanno accolte, ci vivono senza apparenti fenomeni di rigetto, senza allergie manifeste, senza nessun visibile effetto collaterale. Allora appare convincente pensare che saranno sicuramente migliori di quelle che lui stesso potrebbe creare, nella fatica mentale e nell’ossessione del dubbio di avere sbagliato e quindi di non poterle usare per essere accettato nella società cui aspira e necessita di appartenere. Perché l’aspirazione ultima e spesso unica è questa, essere nella società, farne parte, non rimanere mai soli, non avere alcuna originalità che possa rendere invisi alla massificazione degli atteggiamenti. Conosco benissimo la scontata obiezione che non è tutto così, ma conosco anche la scontata risposta che l’eccezione conferma la regola. E in una ormai globale visione del mondo anche dieci milioni, anche cento milioni sono l’eccezione. Il ragazzo di oggi ha terrore della solitudine, anche della breve solitudine. Gli ambienti familiari e lo Stato, divenuti sempre più lassisti ma nello stesso tempo più avvolgenti, gli hanno tolto questo indispensabile anticorpo esistenziale. Anche io avevo il disagio della solitudine, ma lo cullavo in un limbo di quasi eccellenza, in una quasi metamorfosi di personalità, ne ero appagato e deluso, ma era una lotta personale, esclusiva e, anche se in fondo il risultato era la sconfitta. dava il senso del valore di se stessi, quel valore che dava appunto gli anticorpi per passare sopra alle cose malate senza esserne contagiato. Quel valore che ad esempio in quella sala di Parigi avrebbe fatto posare per terra il fucile di una rabbia viva e correre ad abbracciare una rabbia morta dall’altra parte. Ma per queste differenze non ci vuole solo un valore ma anche un coraggio che è un immagine composta in un assemblaggio di verità e di sogno nell’intercapedine di due dimensioni esistenziali. E io non sono più sicuro che questa immagine sia possibile crearla da soli in un mondo che ha dilatato tutto ciò che circonda la giovinezza in modo che sia sempre più difficile coglierne i veri lineamenti. Credo che bisognerà cancellare molto e ridisegnare i contorni delle cose accanto ai giovani, dare loro la possibilità di sfumare, con i colori della meraviglia della loro vita appena cominciata, le loro prospettive. Rendere alla loro mente la possibilità di immaginare creando quelle figure che hanno comunque dentro e che ognuno di loro deve poter disegnare sulla tela della sua unicità. Perché il mondo potrà prendere il passo spedito solo quando ogni giovane potrà rendersi conto senza timore o vergogna di essere unico e non la copia di un sistema, rendersi conto che è la diversità il vero valore della vita perché lo è nell’essenza della vita di ogni essere esistente. Non esistono due fiori uguali, non esistono due pietre uguali, non esistono due animali uguali. E potrà così rendersi anche conto che solo nella diversità la mente potrà ricominciare a creare tutto quello che le serve per ricominciare anche a vivere in un mondo in cui ha potuto comunque continuare ad esistere.
E per questo credo nelle possibilità della poesia che usa solo immagini create dalla mente nel disordine delle percezioni delle sue sensazioni che tuttavia è l’ordine dell’universo che interpreta. Poesia che potrà dare quell’ aiuto indispensabile per l’evoluzione della vita umana in un futuro di piante giovani con una forza metafisica e cosmica da sapersi piegare resistendo ai venti dell’ignoranza e della sopraffazione. In modo che non mi senta completamente inutile nello scrivere qualche verso e possa sentirmi onestamente gratificato dal riconoscimento di quello che è rimasto del mio futuro: la speranza di non vederlo per la certezza di averlo già visto.
Stefano Zangheri
Intervento nel Simposio Letterario presso l’Aula Magna della Facoltà di Biologia Distretto di Via del Proconsolo Palazzo Pazzi/Strozzi Università di Firenze  durante il quale è stata conferito all'autore il Premio alla Carriera  e pubblicato come prefazione all'Antologia  commemorativa  "Canti per Firenze" Magi Edizioni.
(Firenze 13/5/2016)
(Firenze 13/5/2016)
 


