Si sorride spesso a ciò che è indimenticabile. Ci sono momenti
in  cui quella che chiamiamo realtà ci
appare stretta, soffocante, incoerente come arrivare in un posto disabitato e accorgersi di conoscere comunque
qualcuno, di avere il senso di un'altra impressione di vita. Nei meandri dei ricordi troviamo la conoscenza di ciò che ha formato la nostra entità, della quale ci
rendiamo conto di sapere solo quello che i nostri ricordi ci fanno scorgere. Linee
portanti ma non sufficienti dell’immenso
sistema di conoscenze sconosciute, nelle quali sentiamo di non essere comunque i soli protagonisti e che il canovaccio della rappresentazione del nostro atto unico non può essere unicamente un monologo. E' allora che il mondo che vediamo
intorno dipinge i colori della prima generazione di noi stessi in una
apparentemente assurda volatilità di sensazioni, che bloccano la posizione del teatrante nell'inchino di fine rappresentazione. Come un intercalare nel finale scenico per proteggere la nostra parte di ricordo con  il dialogo con chi possiede l'altra parte, per avere dalla vita piu' della sua esistenza apparente, ridipingendo il tempo avuto con colori meno accesi, più tenui, più pennellati, dove anche le sbavature si amalgamano alla liricità dell'insieme
 
